«–Ho un appuntamento con il dottor Park In-ho.
L’impiegata al banco la saluta, riconoscendola dalle visite precedenti. Lei chiude l’ombrello gocciolante e lo fissa con il laccetto, poi si siede su una lunga panca di legno. Mentre aspetta che scenda il dottore, si volta a guardare la zelkova che sorge nel giardino davanti all’ospedale. È un albero vecchissimo, è evidente, deve avere come minimo quattrocento anni. Nelle belle giornate, quando dispiega al sole i suoi innumerevoli rami lasciando che la luce faccia scintillare le foglie, pare quasi che voglia comunicarle qualcosa. Oggi, che è una giornata fradicia e intorpidita dalla pioggia, è reticente, e cela i propri pensieri. Nella parte bassa del tronco, la corteccia vecchia è scura come una sera satura di umidità, e le foglie, sferzate dalla pioggia, fremono mute sui rami più piccoli. E lì vede il viso di sua sorella, che tremola come una spettrale immagine residua sullo sfondo di quella scena silenziosa».
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